Viva Tommaso!
“Le tasse sono il prezzo che paghiamo per vivere in una società civile”
OLIVER WENDELL HOLMES
Capisco che dai tempi in cui, in mancanza di pane, si consigliava agli affamati di saziarsi con le brioches, ne sia passata di acqua sotto i ponti...
Capisco anche che la piramide di Maslow ci autorizzi a volere sempre di più perché possiamo avere sempre di più, e che quindi le aspirazioni di ciascuno di noi siano più elevate del mero cercare di non finirci, sotto quei ponti…
Capisco persino che siamo talmente concentrati su noi stessi che non riusciamo proprio a vedere al di là del nostro naso, nonostante i ponti tra civiltà siano impressi proprio su quelle banconote da cui la nostra vita sembra non poter prescindere…
Quello che proprio non capisco però, è perché ci lamentiamo se lo Stato ci chiede di partecipare attivamente al ménage quotidiano…e soprattutto perché a lamentarsi e a scendere in piazza sono quelli che non rilasciano e non chiedono scontrini, non sanno compilare una fattura, propongono “sconti” che corrispondono esattamente alle percentuali scaricabili fiscalmente, accettano lavori in nero, ecc…
Ci sono ancora tricolori ormai sbiaditi dall’estate appesi alle finestre, a ricordarci cosa sappiamo fare noi italiani…possibile che in pochi mesi il nostro amor patrio sia svanito nel nulla?
Forza Tommaso, prova a farcelo recuperare!
"L'Italia è come un ciclista capace di straordinarie rincorse per raggiungere il gruppo, ma incapace di una gara di testa o di andare in fuga. Sembra che solo l'angoscia del ritardo e l'incubo della squalifica riescano a infonderci l'energia e la volontà necessarie per dare il massimo. Straordinaria fu la rincorsa del benessere, con cui negli Anni 50 e 60 raggiungemmo i livelli di vita che Francia, Germania, Belgio, Olanda avevano da generazioni. Notevole fu quella della stabilità, che ci condusse nell'euro. Stiamo ora perdendo quella dell'eccellenza. Una nuova malattia sembra infatti entrare nella fase acuta: la fiacchezza senile, insinuatasi da circa dieci anni, nella società prima e più che nell'economia. I dati sulla crescita, sulle esportazioni, sulla produttività, sulle nascite mostrano la gravità dello stallo. Forse è recessione; certo è stagnazione e declino. Come nell'immediato dopoguerra, così anche oggi c'è un Paese da ricostruire, rovinato non dalle bombe ma da prolungate omissioni, miopi populismi e familismi nell'affrontare questioni fondamentali: istruzione, innovazione, ricerca, riconoscimento del merito, legalità, manutenzione delle istituzioni, giustizia, infrastrutture pubbliche, senso dell'impresa. Le droghe del cambio e del fisco hanno infiacchito non solo l'economia, ma anche la politica economica e perfino il modo in cui la classe dirigente guarda al futuro. Che la fase acuta del male venga a una fine di legislatura non giustifica un rinvio della cura o addirittura l'assunzione di nuove droghe fiscali nella speranza di raccogliere voti. Misure energiche e coraggiose sono possibili anche nella massima precarietà politica. Fu così nel 1947, quando De Gasperi ed Einaudi raddrizzarono l'economia senza nemmeno una maggioranza parlamentare e alla vigilia dell'elezione più incerta e drammatica della storia repubblicana. Soprattutto nei momenti difficili, il consenso segue, non precede, le scelte forti: rem tene, laudes sequentur. Bisogna riandare al 1998, l'anno del successo e dell'occasione perduta. Nel maggio 1998 l'Italia concluse il risanamento del bilancio e la stabilizzazione monetaria: una rincorsa durata circa 15 anni, culminata nell'ultimo decisivo esame triennale per l'ingresso nell'euro. Il conseguimento di quell'obiettivo valse un radicale mutamento del giudizio su di noi, del quale fui testimone e beneficiario. Politici e osservatori stranieri, anche i peggio disposti, ritennero che l'Italia fosse davvero cambiata, divenuta finalmente—per stabilità economica e politica — un Paese come gli altri. Invece qualcosa si spezzò subito. Mancò la capacità di sostituire alla stabilità un nuovo e accattivante obiettivo di eccellenza. Mancò l'ambizione nazionale di coronare la lunga rincorsa con una gara di testa nel gruppo che avevamo così brillantemente raggiunto. Le abusate categorie dell'ottimismo e del pessimismo — così come il disgraziato slogan «pessimismo della ragione, ottimismo della volontà» — sono fuorvianti. Non è pessimismo sottolineare la gravità del momento; non è ottimismo nasconderla. In cinque-dieci anni l'Italia può ricostruire il suo sistema scolastico e di ricerca, può ripristinare il rispetto e la fiducia nella legge, può migliorare le amministrazioni pubbliche, può attirare i suoi giovani scienziati e operatori economici ora all'estero, può divenire la meta ambita d'investimenti esteri. Sono tutti obiettivi interamente alla nostra portata, capaci di mobilitare le energie e la fiducia dei giovani, di restituire certezza. Nessuna maledizione storica ci perseguita. La ragione ci dice che un esito favorevole è possibile, la volontà (cattiva) lusinga la pigrizia suggerendo che sia irraggiungibile."
TOMMASO PADOA-SCHIOPPA, Corriere della Sera, 16 maggio 2005
2 Comments:
Bello. Ora siamo al governo ed è stata impostata un percorso duro, molto duro e molto criticato (anche a livello popolare). non è chiaro il messaggio sul perchè dobbiamo fare questi sacrifici (nel 98 era chiarissimo: "dobbiamo entrare in Europa"). Oggi non basta solo un messaggio in negativo ("i conti pubblici sono un disastro"), occorre dire qual è la sfida, dove vogliamo arrivare e un messaggio in positivo insomma...
A me sembra che l'ottimismo, almeno sbandierato, non manchi.
Ma l'appartenenza a questa nazione non dovrebbe bastare? Colmare i conti pubblici mi pare ben piu'importante e "tangibile" che non l'entrata in Europa. Ma comprendo benissimo che l'idea di dover pagare per l'eccellenza turbi i sonni di chi ha gia' come incubo ricorrente la bolletta, l'affitto (sempre meno, visto che ormai siamo tutti proprietari!), la lista dei regali di Natale...e la mini-tredicesima!
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